Il 21 aprile 2021 la Commissione Europea ha adottato la proposta di direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) per emendare l’attuale quadro normativo sugli obblighi di Reporting Non Finanziario.
La precedente direttiva, comunemente nota con l’acronimo NFRD (Non Financial Reporting Directive), ha rappresentato un cambio di marcia indiscutibile sul tema del reporting di sostenibilità. Adottata nel 2014 e recepita in Italia nel 2016, ha segnato l’obbligo di reporting per oltre 11.000 soggetti in Europa.
Chi erano i destinatari dell’NFRD o per essere più precisi della Direttiva 2014/95/EU?
“Le imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500”.
La direttiva ha spinto però un numero molto più alto di aziende, rispetto alla platea indicata, a redigere autonomamente il proprio bilancio di sostenibilità: c’è chi l’ha fatto per dare una cornice comunicativa solida al proprio processo di sostenibilità, chi perché in filiera con aziende tenute a farlo, chi per anticipare futuri sviluppi normativi.
Anche la finanza ha giocato una partita decisiva. Il mercato dei fondi ha compreso le potenzialità della sostenibilità e nel 2019 è entrato in vigore il regolamento SFDR – Sustainability Financial Disclosure Regulation, che obbliga l’integrazione dei fattori ESG nei prodotti finanziari offerti al pubblico. Lo step successivo è stato quello di individuare una “tassonomia verde”, ovvero una serie di azioni coerenti con gli obiettivi di contenimento del cambiamento climatico e di tutela dell’ecosistema su cui le aziende sono tenute a rendicontare.
Cosa succederà con la nuova direttiva CSRD?
Innanzitutto, cresce la platea dei soggetti tenuti al reporting, che non si chiamerà più “non finanziario” ma ufficialmente “di sostenibilità”.
Saranno coinvolte tutte le grandi imprese europee indipendentemente dal fatto di essere quotate in borsa, dunque tutte le aziende con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore ai 50 milioni di euro e un bilancio annuo superiore ai 43 milioni.
Saranno inoltre tenute a presentare il report di sostenibilità tutte le aziende quotate con eccezione per le microimprese, ovvero le imprese con meno di dieci dipendenti e un fatturato o un totale di bilancio inferiore ai due milioni di euro. Per le piccole e medie imprese coinvolte l’obbligo scatterà dal 1 gennaio 2026 con i dati riferiti all’annualità 2024, questo perché la direttiva tiene conto della necessità di superare gli effetti del COVID.
Con questi elementi le imprese tenute a pubblicare il proprio report di sostenibilità passeranno dalle attuali 11.000 ad essere quasi 50.000.
Ma ci sono due ulteriori elementi da tenere in considerazione.
Il primo riguarda la filiera. Nella Direttiva si parla più volte di rendicontazione della Supply Chain. Le grandi aziende dovranno includere nel proprio bilancio i fornitori e questo potrebbe portare ad una sorta di manovra ad accerchiamento verso chi, pur non essendo formalmente, ma sarà tenuto a fornire i dati per lavorare in filiera.
Il secondo elemento ha a che fare con la spinta del legislatore nei bandi di sua competenza. In tal senso è utile citare il Decreto Legislativo del 28 maggio 2021 sulla governance del PNRR, nel quale si invitano le stazioni appaltanti a prevedere criteri premiali nell’aggiudicazione dei bandi per i soggetti che presenteranno rendicontazioni incentrate sulle attività aziendali a favore dell’ambiente e delle persone.
Il Bilancio di Sostenibilità diventerà dunque obbligatorio per le aziende? La risposta è sì.
Diventerà obbligatorio per legge per 50.000 soggetti in Europa e, per effetto della filiera, della spinta del legislatore negli appalti pubblici e della finanza, per un numero molto più alto di soggetti.
Il vero tema in prospettiva dunque non riguarda l’obbligatorietà, che sembra incardinarsi su una strada ben definita. La vera sfida sarà fare in modo che il reporting sia la conseguenza naturale di un processo di cambiamento per cui la sostenibilità sarà parte integrante di ogni processo aziendale.
Se fino a ieri la sostenibilità era una grandissima opportunità oggi è diventata la discriminante tra l’essere o non essere sul mercato nei prossimi cinque anni.