L’obiettivo 5 dell’agenda ONU per lo sviluppo sostenibile prevede l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e le ragazze. Per questo come GreenGo consulting Società Benfit, avendo tra i nostri obiettivi la promozione di una cultura volta alla sostenibilità, abbiamo voluto intervistare in occasione del 25 novembre 2020, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Tiziana Pettenuzzo, Segretario generale di Confartigianato Imprese Padova.
Segretario, il suo è un osservatorio privilegiato in quanto dirigente di un’associazione fortemente rappresentativa del mondo del lavoro. La pandemia sta avendo effetti maggiormente negativi in termini occupazionali per le donne?
Forse è un po’ troppo presto per anticipare dei dati completi, ma la sensazione che abbiamo è che sicuramente quando toglieranno i vincoli legati al blocco dei licenziamenti in marzo le prime a fare le spese della crisi saranno le donne, assieme ai giovani. Su ottomila imprenditori associati a Confartigianato in Provincia di Padova circa un terzo sono donne. Purtroppo dai primi dati abbiamo il sentore che saranno le prime a chiudere. Questo non riguarda le imprese più strutturate ma le lavoratrici autonome, quelle che non hanno dipendenti. Nei dati che avevamo pre-crisi molte donne lasciavano il lavoro perché non riuscivano a provvedere alla cura di figli o dei genitori anziani per mancanza di servizi. Tutto ciò ci impone di ripensare i servizi sociali, assistenziali ed educativi. Siamo un paese con un tasso di centri per l’infanzia bassissimo. Possiamo pensare a tutte le leggi o alle politiche che vogliamo, ma se non le accompagniamo anche con politiche per la famiglia, l’educazione e la cura delle persone fragili, cioè i bambini e gli anziani, non risolviamo i problemi. In assenza di servizi pubblici la cura delle persone care è ancora prerogativa quasi esclusiva delle donne.
Sono trascorsi circa dieci anni dalle prime leggi sulle “quote rose”. Un meccanismo graduale che ha interessato le istituzioni e i consigli di amministrazione. Questi provvedimenti hanno sicuramente favorito la rappresentanza. Crede che questa maggior presenza abbia avuto una consequenzialità in termini di miglioramento della condizione della donna in Italia?
Sostanzialmente sì, anche se i modelli nordici sono lontani. Il salto culturale non c’è stato. Le donne che raggiungono posizioni apicali ci arrivano o un po’ per caso oppure perché effettivamente sono bravissime. Il mondo della politica e delle organizzazioni complesse come la mia sono appannaggio maschile. La domanda che dobbiamo farci è: perché? Credo che prevalentemente sia una questione di organizzazione del lavoro, di tempi e di modalità con cui conciliare vita lavorativa e vita familiare. Non vorrei dimenticare poi la questione della retribuzione e non ho problemi a dire che la vivo in prima persona. Spesso a parità di ruolo e di risultati le donne hanno una retribuzione decisamente inferiore. Non mi piace la frase “noi donne dobbiamo sempre dimostrare più degli uomini di meritare qualcosa”, però questa situazione si verifica. La legge sulle quote rosa è stata positiva? Sì, ma andrebbe rafforzata e la strada da fare è ancora molta. La mia generazione, quella del post 78’, ha visto nel lavoro uno straordinario momento di emancipazione, anche sociale. L’emancipazione delle donne è stata anche un ascensore sociale per le famiglie, permetteva ai figli di andare all’università, di completare percorsi di studio utili per emanciparsi da ritardi culturali. Oggi l’ascensore sociale è fermo. Lo smartworking, l’obbligo di stare a casa derivante dalla chiusura delle scuole, la copresenza sono situazioni che dovrebbero farci riflettere sulle difficoltà delle donne anche al di là del Covid.
Quali misure concrete dovremmo aspettarci per lo meno nell’immediato?
Non basta il blocco dei licenziamenti: dobbiamo accompagnare questa fase con politiche che riguardano lo sviluppo delle competenze. Oggi sia le donne che gli uomini risentono del ritardo di competenze. Il mercato del lavoro fra qualche mese non sarà più lo stesso. Mancano competenze digitali e non vorrei che fossero le donne a scontare maggiormente i problemi derivanti da questo ritardo.